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Che cos’è la Colangite Biliare Primitiva (CBP)?

La colangite biliare primitiva è una patologia epatica cronica e dalla lenta evoluzione, che causa una progressiva distruzione dei piccoli dotti biliari (i canali attraverso cui scorre la bile) all’interno del fegato.
Si tratta di una patologia di natura autoimmune, dovuta cioè all’attacco da parte del sistema immunitario verso le cellule dei dotti biliari, che causa infiammazione (colangite) e distruzione dei dotti biliari e, secondariamente, determina la ritenzione di sali biliari (colestasi) e danno agli epatociti. Nel corso del tempo questi danni possono diventare estesi e, sebbene l’evoluzione sia lenta, possono portare alla cirrosi.


Tuttavia, molte persone che soffrono di CBP non svilupperanno mai la cirrosi.

In accordo con la definizione adottata dall’Unione Europea, la Colangite Biliare Primitiva è una malattia rara, con prevalenza (numero di casi in rapporto alla popolazione) inferiore ai 5 casi su 10.000. Nel 2014 la vecchia denominazione di Cirrosi Biliare Primitiva è stata sostituita con quella di Colangite Biliare Primitiva1 lasciando inalterato l’acronimo di CBP.

Il cambio di denominazione ha accolto le richieste delle associazioni dei pazienti e degli operatori del settore eliminando così il termine di cirrosi che identifica solo lo stadio terminale della malattia. Attualmente, infatti, la maggioranza dei pazienti affetti da CBP viene diagnosticato nelle fasi precoci della malattia ed i trattamenti sono spesso in grado di bloccarne l’evoluzione per cui, etichettare questi pazienti come cirrotici risultava frustrante oltre che incoerente.

In Italia non esiste al momento un registro specifico per la CBP. L’unico studio epidemiologico italiano (Lleo et al. 2016), condotto nella Regione Lombardia, ha stimato un numero di 2.970 casi di CBP su 9.742.676 abitanti al 1° gennaio 2010: Il dato è stato estrapolato dai database amministrativi regionali nel periodo 2000-2009. Gli autori hanno stimato una prevalenza nazionale di 2,95 casi di i CBP ogni 10.000 abitanti, per cui, apportando le dovute correzioni, hanno ottenuto una stima finale di circa 13.207 casi di CBP in Italia.

Da cosa è causata la CBP?

Attualmente la causa della CBP è ignota, sebbene si ritenga che lo sviluppo e progressione del danno sia immunomediato.

La CBP colpisce prevalentemente le donne, con un tasso rispetto agli uomini di circa 9:1, sebbene la patologia si manifesti nelle stesse modalità in entrambi i sessi. Ci sono pochi dati sulla possibile familiarità della patologia, e probabilmente circa 1 paziente su 30-70 ha un familare di primo grado affetto dalla stessa malattia.

Studi di laboratorio hanno evidenziato che le persone affette da CBP mostrano una specifica predisposizione genetica e diverse anormalità del sistema immunitario. Tuttavia, la causa scatenante dei danni ai dotti biliari è sconosciuta, sebbene si ritenga possa essere un agente infettivo o ambientale.

La CBP non può essere trasmessa per via sessuale o per contatto.

Generalmente, si manifesta nelle donne tra i 30 e i 55 anni di età (più comunemente nella fase a ridosso o post menopausa), sebbene possa essere diagnosticata ad ogni età negli adulti e, raramente, anche nei bambini.

Quali sono i sintomi della CBP?

I sintomi della CBP possono variare da paziente a paziente e la severità di tali sintomi spesso non presenta correlazione con la gravità del danno epatico.

I sintomi più comuni associati alla CBP sono:
• Prurito
• Letargia e affaticamento cronico


Per effetto di condizioni patologiche associate, alcune persone affette da CBP possono presentare:

• Occhi secchi e/o bocca secca (sicca syndrome)
• Dolori articolari
• Diarrea
• Ipo- o iper- tiroidismo


Negli stadi più avanzati, le persone affette da CBP possono sviluppare:

• Ittero (colore giallastro di sclere e cute)
• Ecchimosi (lividi)
• Accumulo di fluidi nell’addome (ascite)


Altre condizioni che possono essere comuni nelle persone con CBP:

• Osteoporosi
• Sensazione di peso o dolenzia davanti al fegato
• I segni della CBP in fase di cirrosi e che sono comuni alle cirrosi di qualsiasi causa sono: Ittero
• Facilità di formazione di ecchimosi (lividi)
• Palmi arrossati (eritema palmare)
• Gonfiore delle caviglie (edemi per accumulo di liquidi)
• Gonfiore dell’addome (per sviluppo di ascite)


Diverse persone con CBP possono inoltre notare placche giallastre attorno agli occhi (xantelasmi) e una pigmentazione anomala (scura) della cute.

La sintomatologia, come detto, è piuttosto variabile tra i vari pazienti e allo stesso modo la severità può variare in uno stesso paziente anche in maniera molto rilevante, passando da severità tale da impedire lo svolgimento delle normale azioni quotidiane ad una più lieve.

Come viene diagnosticata la CBP?

Attualmente, la maggior parte dei pazienti è diagnosticata nella fase asintomatica di malattia e, i sintomi compaiono generalmente dopo 2-4 anni dalla diagnosi.
La presenza della patologia è rilevata attraverso esami del fegato effettuati su singolo campione ematico.
Le linee guida EASL2 e AASLD3 concordano sui seguenti criteri diagnostici di CBP:

1. Aumento persistente (> 6 mesi) dei livelli sierici della fosfatasi alcalina (ALP) in pazienti con normalità ecografica delle vie biliari;

2. Positività degli AMA (anticorpi anti-mitocondrio) o degli anticorpi antinucleo (ANA) di tipo anti-Sp100 e anti-gp210;

3. Evidenze istologiche di colangite destruente non suppurativa coinvolgente i dotti interlobulari.


Per la diagnosi di CBP almeno due dei criteri elencati devono essere soddisfatti.

Generalmente, quasi tutti i pazienti con CBP sono positivi agli AMA.

I medici generalmente esaminano le vie biliari per essere sicuri che non via sia un’ostruzione al flusso della bile, utilizzando tecniche non invasive come l’ecografia o la Risonanza Magnetica.

In alcuni casi, per poter confermare o confutare la diagnosi di CBP può essere necessario eseguire una biopsia epatica, ovvero prelevare un piccolo campione di tessuto epatico con un ago; ciò permette allo stesso tempo anche di avere informazioni sullo stato di danneggiamento del fegato.

Tuttavia, come detto, il ricorso alla biopsia avviene solo quando mancano uno dei due criteri diagnostici, essendoci generale consenso che la positività agli AMA e l’aumento della Fosfatasi alcalina (ALP) consentano la diagnosi definitiva di malattia con un valore predittivo positivo superiore al 95%.

Pertanto, la biopsia epatica non è necessaria per la diagnosi nella maggior parte dei casi. Il ricorso all’esame istologico è necessario nelle seguenti condizioni:

1. Pazienti con aumento persistente di ALP di origine epatica ma con negatività di AMA e dei sottotipi di ANA specifici per CBP (anti-Sp100, anti-gp210);

2. Pazienti AMA positivi, con ALP normale ma elevati livelli di transaminasi e/o gamma-GT;

3. Pazienti AMA positivi, con ALP aumentata, ma con transaminasi > 5 volte i livelli normali, IgG > 2 volte i livelli normali, ANA+ (> 1:320), SMA positività (>1:80); questo per valutare la diagnosi di overlap CBP/epatite autoimmune.

L’esame istologico è lo strumento di riferimento per la valutazione dello stadio della CBP e della fibrosi. Tuttavia, si tratta di un esame invasivo non facilmente accettato da pazienti e medici e non utilizzabile per i controlli periodici dell’evoluzione di malattia.

Sono in corso di valutazione metodiche alternative non invasive per valutare lo stadio di fibrosi, tra cui l’elastografia transiente unidimensionale (Fibroscan) che valuta l’elasticità del parenchima epatico, la cosiddetta liver stiffness.

Studi recenti dimostrano come valori di liver stiffness (misurati con il Fibroscan) < 9,6 kPa identificano pazienti con scarsa o nulla progressione di malattia nell’arco di sei anni di follow-up. Al contrario, i pazienti con liver stiffness > a 9,6 kPa sviluppano, nel corso di sei anni, eventi maggiori legati alla malattia in una percentuale di circa il 30% dei casi.

Nel follow-up dei pazienti mediante misure ripetute della liver stiffness, un aumento maggiore o uguale a 2,1 kPa potranno permette di discriminare i pazienti a maggior rischio di sviluppare eventi maggiori legati alla malattia epatica, scompenso epatico, trapianto epatico e morte4.

Va sottolineato che, al momento, non ci sono dati che dimostrano se la valutazione della liver stiffness possa essere predittiva dell’efficacia o meno della terapia farmacologica.

La lenta progressione della CBP impone la necessità di identificare dei marcatori surrogati in grado di predire in modo affidabile l’outcome clinico dei pazienti5.

Attualmente, solo i livelli di ALP, sia alla diagnosi che in corso di trattamento, sono riconosciuti come i principali marcatori di progressione. E’ infatti ampiamente riportato in letteratura che valori di ALP al di sopra della norma, soprattutto se due volte superiori alla norma, siano predittivi di malattia a piu’ rapida progressione6.

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Bibliografia di riferimento

1. http://www.aasld.org/name-change-pbc-cholangitis-replacing-cirrhosis, Changing nomenclature for PBC: from "cirrhosis" to "cholangitis". Beuers, U, et al. 2015, Hepatology, Vol. 62, pp. 1620-1622.

2. http://www.easl.eu/research/our-contributions/clinical-practice-guidelines/detail/management-of-cholestatic-liver-diseases/report/3

3. http://www.aasld.org/sites/default/files/guideline_documents/PrimaryBillaryCirrhosis2009.pdf

4. Corperchot et al - Hepatology 2012

5. American Association for the Study of the Liver Disease endpoint conference: design and endpoint for clinical trials in primary biliary cirrhosis. Silveira, MG, et al. s.l.: Hepatology, 2010
Lammers 2014



Road Map realizzata con un contributo non condizionato Intercept come parte del programma Practice to Policy™

Consulenza scientifica testi Road Map: Prof. Alvaro Domenico | Professore Ordinario di Gastroenterologia | Università degli Studi di Roma "La Sapienza"

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