La PFIC nell’adulto
Come illustrato, la colestasi intraepatica progressiva familiare (PFIC) è un gruppo di malattie genetiche rare a trasmissione autosomica recessiva che colpiscono il fegato, caratterizzate da un difetto nel trasporto degli acidi biliari attraverso le cellule epatiche. Questo difetto provoca un accumulo di acidi biliari all'interno del fegato, con conseguente danno progressivo delle cellule epatiche, infiammazione e fibrosi. La PFIC si manifesta tipicamente nell'infanzia, con sintomi che includono ittero, prurito intenso, scarso accrescimento e progressiva insufficienza epatica. Tuttavia, alcune forme di PFIC possono insorgere o manifestarsi anche in età adulta, presentando una sintomatologia più eterogenea e sfumata. Infatti, nella popolazione adulta spesso è presente un’unica copia del gene mutato (eterozigosi, vedi sotto)che rende il quadro clinico tendenzialmente meno severo e clinicamente più eterogeneo e può essere confuso con malattie colestatiche più note o diagnosticato come colestasi idiopatica.
L'incidenza nella popolazione pediatrica è stimata tra 1/50.000 e 1/100.000 nascite. Tuttavia, studi epidemiologici sulla prevalenza di queste patologie in età adulta non permettono di stabilire con esattezza l’entità del problema che, con le conoscenze attuali, rappresenta probabilmente solo la punta dell’iceberg. Infatti, queste malattie nell’adulto sono rare e ancora poco conosciute, il che potrebbe impedire un adeguato iter diagnostico. Inoltre, non sempre è possibile eseguire un test genetico nei centri clinici, e l’interpretazione è complessa in assenza di un team multidisciplinare esperto sia sulla malattia che sull’analisi dei risultati. Spesso è di grande aiuto agli epatologi dell’adulto, ove possibile, un confronto con colleghi epatologi pediatrici e genetisti esperti per valutare i quadri clinici e interpretare i test genetici.
Manifestazioni cliniche
Per comprendere meglio la PFIC, è utile ricordare che gli acidi biliari servono per digerire i grassi e vengono immessi nelle vie biliari dopo aver subito meccanismi di trasporto a livello degli epatociti e dei colangiociti. Questi processi sono mediati da una vasta gamma di trasportatori. Una volta giunti nel tratto intestinale, gli acidi biliari vengono riassorbiti nell’intestino tenue grazie a specifici trasportatori e ritornano al fegato tramite il sistema portale. I geni coinvolti in questo ciclo sono numerosi e svolgono funzioni diverse. Ad oggi sono stati individuati 13 geni associati a PFIC, ma il maggiore sforzo nella ricerca e la comprensione dei meccanismi alla base di questo processo permetterà di identificarne un numero sempre maggiore.
Dal punto di vista clinico, il prurito è il sintomo più comune nelle PFIC e si presenta con intensità e frequenza variabili a seconda dei genotipi.
Dal punto di vista laboratoristico le PFIC sono caratterizzate da colestasi (incremento della bilirubina e degli indici di colestasi come fosfatasi alcalina, gammaGT(GGT) e acidi biliari sierici). Tuttavia, non tutte le PFIC presentano un aumento della gamma-GT (GGT): sono più frequenti le forme senza incremento della GGT rispetto alle poche in cui questo si registra. Pertanto, nelle forme di colestasi a GGT normale è necessario considerare una potenziale eziologia genetica. Inoltre, la funzione dei geni associati ad alcuni tipi di PFIC si associa a insorgenza di manifestazioni cliniche extraepatiche (es. diarrea, perdita o riduzione dell’udito).
Meccanismi genetici della PFIC
Per capire il meccanismo alla base della PFIC, è necessario ricordare che ogni individuo possiede due copie di ogni gene, una per cromosoma (uno ereditato dalla madre e uno ereditato dal padre). Una malattia autosomica recessiva come la PFIC si manifesta solo quando entrambe le copie di un gene sono mutate (omozigosi). Questo significa che per sviluppare la malattia è necessaria la presenza di due copie mutate dello stesso gene sui due cromosomi. Tuttavia, possono verificarsi situazioni più complesse, in cui sono presenti due mutazioni diverse dello stesso gene sui due cromosomi(eterozigosi composta).
Non tutte le mutazioni sono uguali e possono indurre alterazioni di funzione differenti sul prodotto genico (la proteina). Una mutazione non necessariamente comporta una perdita completa della funzionalità della proteina codificata. La gravità del danno dipende dal tipo di mutazione e dalla sua posizione, influenzando in maniera variabile la funzione della proteina. In alcuni casi, una copia mutata può essere compensata dalla copia sana, garantendo una funzionalità sufficiente della proteina. Se entrambe le copie sono mutate con una mutazione che impedisce il funzionamento della proteina, la malattia si manifesta precocemente, con gradi di severità variabili a seconda della compromissione funzionale.
Nelle colestasi intraepatiche genetiche ad esordio adolescenziale/adulto è più frequentemente riscontrata la presenza della mutazione con perdita di funzione su un unico gene dei due cromosomi (eterozigosi) o mutazioni in doppia eterozigosi (vedi sopra) con solo ridotta funzionalità della proteina derivante. Pertanto, lo spettro clinico di queste patologie risulta variabile ed eterogeneo. Negli individui con mutazione in eterozigosi della proteina coinvolta nel meccanismo di trasporto degli acidi biliari potrebbe anche non rendersi mai evidente un quadro di colestasi e un fenotipo associato a quella mutazione. Tuttavia, in condizioni di stress o di aumentato fabbisogno funzionale (es. gravidanza, terapie farmacologiche, infezioni), anche una sola copia mutata di un gene potrebbe non essere sufficiente a garantire la funzione biologica, portando all’esordio clinico della malattia.
Diagnosi e gestione clinica
La società europea di epatologia (EASL) ha recentemente pubblicato delle linee guida sulle forme di colestasi genetica (EASL Clinical Practice Guidelines on genetic cholestatic liver diseases Verkade, Henkjan J. et al.Journal of Hepatology, Volume 81, Issue 2, 303 – 325). Nei bambini, poiché le colestasi genetiche sono un’eziologia frequente nell’ambito colestasi, si raccomanda di eseguire test genetici nelle primissime fasi di sospetto diagnostico. Negli adulti, invece, il test genetico è indicato in due contesti specifici: in caso di colestasi non spiegata da altre indagini o in presenza di un forte sospetto di malattia genetica. Le linee guida suggeriscono inoltre che, in alcuni casi, potrebbe essere opportuno anticipare il test genetico o eseguirlo parallelamente ad altre indagini. Inoltre, vista la continua scoperta di nuove varianti geniche che possono manifestarsi con quadri patologici viene suggerito di rivalutare i risultati del test genetico ogni tre anni per valutare se le varianti ad incerto significato sono state nel frattempo identificate come patogenetiche rendendo quindi la diagnosi possibile.
La diagnosi di PFIC nell’adulto richiede attenzione particolare a quadri clinici atipici, come colestasi episodiche, sindromi di ridotta secrezione di fosfolipidi (LPAC) o colestasi indotte da stimoli esogeni (es. farmaci, ormoni). In gravidanza, ad esempio, può insorgere una colestasi scatenata da livelli elevati di ormoni sessuali.
Fenotipi ricorrenti di colestasi episodica, che alternano periodi di normalità a episodi di ittero, prurito intenso e malassorbimento delle vitamine liposolubili, sono un’altra possibile presentazione. I fattori scatenanti possono includere infezioni, vaccini, terapie farmacologiche o condizioni di stress.
Inoltre, sebbene ci siano pochi dati ancora a supporto, si può sospettare una mutazione sui geni PFIC in pazienti con colestasi cronica e prurito non responsivi alle terapie standard in quadri atipici di patologie colestatiche note come colangite biliare primitiva o colangite sclerosante primitiva. Nei giovani con fibrosi avanzata o positività per autoanticorpi, è opportuno indagare la potenziale presenza di varianti genetiche agenti come co-fattori sul fenotipo clinico. In un recente studio italiano del dr. Giovanni Vitale1, è stata valutata la presenza di varianti geniche in 4 geni specifici in 48 pazienti con una colestasi idiopatica. Nel 21% di questi pazienti è stata identificata la presenza di varianti patogenetiche, quindi associate o molto probabilmente associate alla colestasi, e nel 58% di questi era presente una mutazione su 1 o più geni coinvolti nel processo. Inoltre, i pazienti con mutazioni patogenetiche o verosimilmente patogeniche presentavano più spesso prurito o una storia clinica personale di ittero neonatale.
Conclusioni
La diagnosi di colestasi associata a mutazioni genetiche su geni PFIC negli adulti sta diventando più frequente ed accurata grazie alle nuove metodiche di sequenziamento genico e a una migliore conoscenza di queste patologie. La possibilità di trattamento del sintomo più frequente di queste patologie, il prurito, spinge a una diagnosi sempre più precoce. Il sospetto di patologia deve venire in pazienti ad esordio con età inferiore ai 40anni, che presentano colestasi cronica non spiegata.
Il confronto tra lo specialista clinico (epatologo) e il genetista in questi casi è fondamentale per poter interpretare al meglio il risultato delle analisi e garantire al paziente un follow up personalizzato in base al suo genotipo.
Referenze
Cryptogenic cholestasis in young and adults: ATP8B1, ABCB11, ABCB4, and TJP2 gene variants analysis by high-throughput sequencing – G. vitale et al. - https://doi.org/10.1007/s00535-017-1423-1