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La “pianificazione condivisa delle cure”. Una novità che coglie impreparati sia medici che pazienti (seconda parte)

La nostra interpretazione estensiva porta alla conclusione che la pianificazione condivisa delle cure sia realizzabile in ogni caso di patologia. Quale sia, invece, l’équipe sanitaria a cui si riferisce la norma è invece decisamente poco chiaro. Una prima

Parte seconda – Il dettaglio delle prescrizioni della legge n. 219/2017

La pianificazione condivisa delle cure: in relazione a quali patologie?
Secondo il comma 1 dell’articolo 5, la pianificazione delle cure condivisa tra il paziente e il medico riguarda “l’evolversi delle conseguenze” di una patologia rispettivamente: a) o “cronica e invalidante”; b) o “caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta”. Non è il caso di soffermarsi sulla locuzione introduttiva “evolversi delle conseguenze”, che pare non avere un significato profondo, ma essere semplicemente tautologica. Meritano invece attenzione le due condizioni sopra indicate sub a) e b). Circa a), è facile comprendere che cosa si intenda per patologia cronica; più vago è l’aggettivo “invalidante”, che non caratterizza alcun grado di invalidità; in particolare non definisce natura e ed entità dell’invalidità che costituisce condizione preliminare per la pianificazione condivisa.

È evidente, infatti, che vi sono vari gradi di invalidità, da quelli che limitano solo alcune funzioni a quelli che compromettono la validità della maggior parte delle funzioni dell’organismo. Quanto a b) anche la locuzione “prognosi infausta” è piuttosto generica, non precisando se si tratti di prognosi infausta quadvitam o quadvaletudinem, anche se il richiamo che si fa nel comma 2 dell’articolo 5 alla “qualità della vita” induce a ritenere che questo sia il parametro cui occorre riferirsi per la prognosi.

Né il fatto che la prognosi infausta debba essere accompagnata da “inarrestabile evoluzione” è di particolare ausilio per l’interpretazione, limitandosi la parola “evoluzione” ad essere ripetitiva del concetto iniziale, già ridondante, di “evolversi delle conseguenze” e non fornendo l’aggettivo “inarrestabile” alcun aiuto in merito ai tempi dell’evoluzione della patologia. In altri termini, le due condizioni si prestano ad interpretazioni diversificate, potendo riferirsi la patologia cronica ad invalidità sia gravi sia modeste e la prognosi infausta alla qualità della vita, alla durata della malattia o alla morte, in termini cronologici sia ravvicinati sia diluiti, anche di molto, nel tempo.

Da parte nostra, propendiamo per la interpretazione estensiva, che contempla cioè la possibilità di redigere la pianificazione condivisa delle cure anche nel caso di patologie croniche modestamente invalidanti o di patologie caratterizzate da prognosi infausta circa la qualità della vita, secondo quanto prevedibile in un arco di tempo non definito. La tesi che la prognosi possa riguardare un arco di tempo anche relativamente lungo non pare contrastabile, posto che l’ultima frase del comma 4 dell’articolo 5 prevede comunque che: “La pianificazione delle cure può essere aggiornata al progressivo evolversi della malattia, su richiesta del paziente o su suggerimento del medico”.

La nostra interpretazione estensiva porta alla conclusione che la pianificazione condivisa delle cure sia realizzabile in ogni caso di patologia: basti pensare che anche la più banale delle patologie può essere considerata dal paziente a prognosi infausta quanto a qualità della vita. Se poi la patologia porterà alla condizione prefigurata dalla legge n. 219 di incapacità del paziente a manifestare la propria volontà, ciò sarà dimostrazione a posteriori della opportunità del ricorso alla pianificazione condivisa delle cure.

La pianificazione condivisa delle cure: la previa informazione
Nella legge n. 219 non è specificato quale sia il medico che procede alla stesura della pianificazione condivisa delle cure, cosicché è da ritenere che possa essere qualsivoglia medico con il quale il paziente realizzi una relazione di cura. Più esplicitamente, per fare solo alcuni esempi sicuramente non esaustivi, può trattarsi di medico di medicina generale, di medico ospedaliero in corso di ricovero, di medico specialista, anche operante a titolo libero professionale, e di altri ancora.

Il comma 2 dell’articolo 5 traccia le modalità con cui deve essere realizzata l’informazione precedente la pianificazione condivisa delle cure. Circa il contenuto di questa informazione, vi è una parte di carattere generale, che è quella riportata nel comma 3 dell’articolo 1, ed una particolare, descritta nel comma 2 dell’articolo 5.

L’informazione di carattere generale concerne le “condizioni di salute” della persona ed è relativa “alla diagnosi, alla prognosi, ai benefici e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari indicati, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell’accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi”.

L’informazione di carattere particolare verte “sul possibile evolversi della patologia in atto, su quanto il paziente può realisticamente attendersi in termini di qualità della vita, sulle possibilità cliniche di intervenire e sulle cure palliative” Non viene specificato a chi competa detta informazione. Riteniamo che dal significato generale della norma, che colloca sia la raccolta del consenso sia la pianificazione condivisa delle cure all’interno della relazione di cura, discenda indubitabilmente che competa al medico e solo al medico siffatta informazione.

Più esplicitamente: è fermamente da respingere la tesi che la informazione previa alla pianificazione possa essere affidata a professionista sanitario diverso da quello con cui sussiste la relazione di cura.

L’articolo 5, comma 2, è chiaro circa i soggetti ai quali è conferita l’informazione. Sono paziente e “con il suo consenso, i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di sua fiducia”.

L’articolo 5 tace sulla facoltà del paziente di rifiutare, in tutto o in parte, di ricevere le informazioni e di indicare i familiari o una persona di sua fiducia incaricati di riceverle. È ragionevole la tesi che tale facoltà sussista per il paziente, essendo contemplata nel comma 3 dell’articolo 1, da ritenere di carattere generale in punto di informazione.

La pianificazione condivisa delle cure come vincolo da rispettare
Il comma 1 dell’articolo 5 afferma tassativamente che alla pianificazione condivisa delle cure “il medico e l’equipe sanitaria sono tenuti ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità”. Il medico tenuto ad attenersi alla pianificazione è identificabile con il medico che ha concordato quella pianificazione con il paziente.

Quale sia, invece, l’équipe sanitaria a cui si riferisce la norma è invece decisamente poco chiaro. Una prima interpretazione, semplice semplice, induce a identificare quale équipe quella che lavora con il medico che ha sottoscritto la pianificazione.

Ma un siffatto pensiero non aiuta ad identificare i componenti di tale équipe. Immaginiamo che si tratti di un medico ospedaliero: allora l’ équipe di riferimento è quella del reparto in cui egli opera ed è costituita, per esempio, da altri medici e da altri professionisti sanitari quali infermieri, logopedisti, fisioterapisti.

Oppure comprende anche altri professionisti di altri reparti, in particolare medici, che abbiano fornito la loro consulenza nel caso o che abbiano già posto in essere alcuni trattamenti? Immaginiamo invece che si tratti di un medico di medicina generale: in tal caso non è semplice individuare quale sia l’équipe sanitaria di riferimento. Occorre, di volta in volta, valutare la rete di riferimento per gli accertamenti diagnostici, i possibili trattamenti terapeutici, l’assistenza infermieristica domiciliare, relativi al paziente.

Stabilire quale sia la équipe vincolata alla pianificazione condivisa delle cure è importante, perché è indispensabile portarla a conoscenza, e in tempi congrui, della esistenza della pianificazione stessa.

Si tratta di questione la cui soluzione è complessa, relativamente alla quale la legge n. 219 tace e che scaturisce dal convergere di due esigenze: I) quella del paziente, che la pianificazione delle cure condivisa con un medico sia operativa nei confronti di tutti i professionisti sanitari con i quali avrà occasione di incontrasi nel decorso della sua malattia; II) quella dei professionisti sanitari, di essere tempestivamente informati delle pianificazioni delle cure condivise dal paziente con un “altro” medico; ciò al fine di organizzare e coordinare l’approccio globale al paziente coerente con tale pianificazione e, se possibile, offrire un loro contributo tecnico preliminare alla elaborazione della pianificazione condivisa delle cure.

In realtà, individuare la équipe di riferimento è ancora più importante per attivare una procedura, che la legge n. 219 non prevede, ma che è a nostro parere ineludibile.

La questione di fondo è: come si fa a vincolare una intera équipe sanitaria ad una pianificazione delle cure condivisa tra il paziente ed un solo medico? Occorre trovare la maniera di coinvolgere tutta la équipe di riferimento – una volta individuata – nel progetto globale di pianificazione condivisa delle cure.

Potrà, dunque, essere sempre possibile che la pianificazione venga concordata dal paziente con un medico ed un medico solo, ma i due dovranno, previamente, almeno: a) aver individuato gli altri professionisti sanitari che ragionevolmente potrebbero essere coinvolti nella vicenda; b) averli informati che sono state avviate le procedure per la pianificazione condivisa delle cure; c) averli invitati a partecipare al processo di informazione nei confronti del paziente e degli altri soggetti da lui indicati; d) portarli a conoscenza del testo definitivo della pianificazione condivisa delle cure.

Connesso a quanto ora discusso, è il tema della informazione che deve essere conferita al fiduciario, ai familiari e ai care giver circa l’approccio al paziente, qualora a domicilio si verificasse una delle condizioni contemplate nella pianificazione condivisa delle cure.

Pare opportuno che i familiari si attengano alle istruzioni ricevute dal medico (in conformità con quanto previsto nel comma 5 dell’articolo 1) e che provvedano ad informare della circostanza, quale primo medico, quello che ha sottoscritto la pianificazione e che potrà coordinare gli interventi sanitari secondo le volontà del paziente.

La pianificazione condivisa delle cure: il fiduciario
L’articolo 5 prevede due figure particolari, non necessariamente sovrapponibili, denominate in forma leggermente differente. Si tratta: a) della “persona di sua fiducia” menzionata nel comma 2; b) del “fiduciario”, contemplato nei commi 3 e 4. Se il mandato della “persona di sua fiducia” è chiaro, in quanto relativo all’essere possibile destinatario della “adeguata informazione” previa alla pianificazione, le funzioni invece del “fiduciario” dei commi 3 e 4 non sono esplicitate e sono quindi tutte da definire.

Un fiduciario è previsto anche dall’articolo 4 in relazione alle DAT. Il contesto in cui viene elaborata la pianificazione condivisa delle cure è evidentemente diverso, ma può essere utile considerare le indicazioni che, più precise, sono fornite circa le funzioni del fiduciario in relazione alle DAT.

Nel dettaglio, l’articolo 4 indica che il fiduciario fa le veci della persona e la rappresenta nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie (comma 1); che al fiduciario è rilasciata una copia delle DAT (comma 2); che le DAT possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita (comma 5).

Dall’articolo 4 può senz’altro essere mutuato che il fiduciario fa le veci del paziente e lo rappresenta nelle relazioni con il medico e con i componenti delle équipe sanitarie e che al fiduciario è rilasciata una copia della pianificazione condivisa delle cure; non è invece accettabile che, pur solo nelle condizioni indicate a proposito delle DAT, comunque mal applicabili alla pianificazione condivisa delle cure, questa possa essere disattesa previo accordo con il fiduciario.

A prescindere da quanto mutuabile dall’articolo 4, ad una prima riflessione, il ruolo fondamentale del fiduciario può essere identificato con la gestione delle situazioni in cui le condizioni topiche contemplate nella pianificazione condivisa delle cure si verifichino in assenza del medico che quella pianificazione ha, appunto, condiviso.

In questo caso, sul fiduciario incombe la funzione di rintracciare e di coinvolgere nella vicenda il predetto medico o, in mancanza, di manifestare il contenuto di detta pianificazione a diverso medico o ad altro professionista sanitario intervenuto, soprattutto se questi non sia a conoscenza di tale pianificazione.

In questa eventualità, il fiduciario può avere comunque un ruolo di consulenza/confronto tutte le volte in cui il contenuto della pianificazione risultasse non chiaro al medico rispetto alla situazione contingente: il fiduciario potrà suggerire l’interpretazione corretta, quella cioè adeguata alle sue conoscenze circa la concezione di vita e le aspirazioni del paziente.

Da queste considerazioni discende la opportunità che il fiduciario sia presente alle attività connesse alla stesura del documento di pianificazione condivisa delle cure. Nello stesso documento di pianificazione condivisa o nell’atto in cui viene indicato il fiduciario, il paziente potrà specificare quale sia il ruolo del fiduciario stesso, e se questi potrà concordare con il medico di discostarsi dalla pianificazione ed in quali precise circostanze, specialmente qualora si tratti di circostanze non espressamente contemplate nella pianificazione condivisa in quanto non distintamente prevedibili oppure, ancorché prevedibili, talmente remote rispetto alla possibilità di un loro verificarsi da non essere oggetto di analitica valutazione.

È da escludere che il fiduciario abbia un ruolo di controllo nei confronti dell’opera del professionisti sanitari (segue).

Daniele Rodriguez e Anna Aprile
Medici legali a Padova
Fonte: quotidianosanita.it

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